venerdì 5 giugno 2009
sudafrica, l'arcobaleno tenue
(testo e foto S.Corsi)
Jacob Zuma,l'uomo che mercoledì sarà eletto a furor di popolo terzo presidente del Sudafrica post-apartheid, è il tipo di politico che scatena passioni contrastanti. Dalla sinistra intellettuale il cui tentativo di demolirlo è andato clamorosamente a vuoto, ai giovani delle township che sarebbero pronti, testualmente “ a uccidere e morire per lui”.
Sopravvissuto a una controversa bagarre giudiziaria che ha finito per rafforzare la sua immagine di paladino dei poveri ostacolato dall'elite nella sua ascesa al potere, Zuma è certamente il politico più popolare dai tempi di Nelson Mandela. Ma la sua parabola politica e personale è molto diversa a quella di Mandela. Forse nella stessa misura in cui il Sudafrica di oggi, e lo spirito collettivo che lo anima, sono molto diversi da quelli del Sudafrica che quindici anni fa sognò di diventare una “nazione arcobaleno” libera dall'apartheid ma anche dalle rivalità etniche che portava in seno.
Oggi più che i colori dell'arcobaleno a fare da simbolo e metafora del paese potrebbero essere i ghirigori disegnati dai chilometri e chilometri di filo spinato che in tutte le metropoli sudafricane segnano il confine della nuova apartheid: quella che esclude dai nuovi canali di ricchezza la maggioranza dei sudafricani, che hanno continuato a vivere nelle township e nelle baraccopoli senza luce nè acqua corrente, che ogni giorno lottano contro le carenze del sistema scolastico e sanitario, contro una disoccupazione intorno al 40%, che si organizzano per avere diritto ai farmaci antiretrovirali per l'aids, che colpisce nientemeno che un sudafricano ogni otto. Ma sono anche quelli che, “cascasse il mondo, continueranno a votare Anc”: lo dice rassegnato Trevor, un attivista del Soweto electricity commettee, un comitato che a Soweto si occupa di riallacciare abusivamente la corrente a quelli a cui è stata tagliata. Ma l'affezione emotiva e tradizionale al partito della lotta contro l'apartheid spiega solo in parte la Zumania, come viene chiamato il culto della personalità che si sta formando intorno alla figura del futuro presidente. “E' che, con Zuma, finalmente sappiamo di cosa si sta parlando” esclama Alexandra, una giovane pendolare sul treno fra Cape Town e Khaylicia, la township in cui vive. Già, perchè su una cosa non c'è dubbio: Zuma, parlando per proclami e lasciando i tecnicismi economici ai suoi futuri ministri, è riuscito a riavvicinare la gente alla politica. Per farlo ha scaltramente cavalcato il revival tribale snobbati dai politici dell'ANC negli ultimi anni come i canti e le danze zulu in cui si esibisce durante i suoi rally, le adunate oceaniche a cui arriva in elicottero, scendendo sulla folla dall'alto come un Messia.
Dall'altra parte del filo spinato sudafricano c'è quell'elite rampante, ora in gran parte nera, che partecipa con grande profitto dell'ascesa del paese a indiscussa potenza economica del continente. Sono i nuovi inquilini di Sandton, il lussuoso distretto a nord di Johannesburg in cui si trasferirono in massa i bianchi dopo la fine dell'apartheid. Guidano auto di lusso di cui non abbassano mai i finestrini, contagiati dalla psicosi del crimine che una volta riguardava solo i bianchi.
Sono i beneficiari del BEE (Black Economic Empowerment)un sistema che privilegia l'accesso ai neri nei posti di lavoro sia pubblici che privati. Ineccepibile negli intenti, il BEE si è trasformato in un sistema clientelare di controllo delle assunzioni che ha legato strettamente il potere economico a quello amministrativo. Lungi dall'appoggiare in massa il Cope, un partito scissionista nato da una costola dell'Anc nell'ottobre scorso (come in un primo momento sembrava avrebbero fatto) molti figli del Bee hanno poi riaffermato la propria fedeltà alla linea lanciando a marzo la Black Business Organization, un'associazione commerciale nera che ha reso subito noto il suo finanziamento alla campagna elettorale di Zuma. Che presumibilmente non tarderà a ricompensarli.
Il futuro presidente dovrà anche vedersela con la crisi economica che anche da queste parti non ha mancato di farsi sentire : gia' dodicimila sono i posti di lavoro persi nell'industria automobilistica cui potrebbero seguire fra i quaranta e i cinquantamila licenziamenti nel settore minerario quest'anno. Il Partito Comunista e il sindacato Cosatu, alleati storici dell'Anc, sperano che la crisi orienti un new deal economico che faccia dimenticare il liberismo selvaggio dell'era Mbeki. In questo senso la riforma più attesa è certamente quella della terra: il programma di Zuma si ripropone di riprendere in mano quel processo di redistribuzione della terra su base razziale -tuttora un quinto dei farmer padroni di latifondio paese sono bianchi, grosso modo come durante la'apartheid. Ma oltre a rimanere sulla carta come è stato fino a oggi, la riforma agraria nelle mani di un populista come Zuma corre un altro rischio: che la terra,come è successo nello Zimbabwe di Mugabe, passi semplicemente dalle mani dell' elite bianca a quella nera, scavando il fossato che divide queste due dal resto dei sudafricani.
Tenace avversario di Zuma è Desmond Tutu, l'arcivescovo anglicano di Cape Town premio nobel per la pace dell'84, simbolo della lotta contro l'apartheid e presidente della Truth and Reconciliation Commission, la commissione che raccolse le testimonianze di vittime e carnefici di quarantaquattro anni di apartheid. Ma il Sudafrica, salta agli occhi, è un paese tutt'altro che riconciliato. Anche se nessuno sembra aver chiaro con chi non vuole riconciliarsi: l'esplosione di xenofobia che si scatenò nelle township un anno fa, e che lasciò sull'asfalto una sessantina fra zimbabweani e mozambicani-molti dei quali bruciati vivi- venuti in Sudafrica a cercare lavoro, fu uno shock per il mondo intero. Soprattutto per chi, saltando i capitoli intermedi, pensava ancora al Sudafrica come alla nazione arcobaleno. “Conquistare la libertà non significa trovare una bacchetta magica” sospira Tutu, che oggi guarda con preoccupazione ai toni sessisti di Zuma, alla sua forte e rivendicata identità etnica zulu, alle esacerbazioni che genera coi suoi “con me o contro di me” cui la gioventu'di partito, prima ancora del verdetto in tribunale, aveva risposto “Corrotto o no, vogliamo Zuma” lasciando pochi dubbi e molto sgomento sullo spazio che occupa la questione morale in questa campagna elettorale.
Con l'elezione alla presidenza di un populista come Zuma rischia di concretizzarsi quella “rivoluzione fallita” di cui il poeta B. Breytenbrach ha parlato meno di un anno fa in un'amara lettera indirizzata a Nelson Mandela. La rivoluzione fallita di una nazione che fece sognare un continente intero e capace di darsi la costituzione piu' avanzata del mondo,ma che ora si avvia nella direzione presa da tanti altri stati africani, in cui elites diverse per interesse e razza trovano un accordo per arginare le pressioni della maggioranza esclusa dal benessere. Che dal canto suo rimane caparbiamente fedele ai leader politici eredi della liberazione, mentre scivola in una violenza e in una povertà sempre più endemiche e apparentemente senza ritorno.(l'Espresso,17 aprile 2009)
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Hey Sere! vedo che alla fine hai trovato la tua strada anche nelle terre del Sud africano..mi fa piacere vedere che i contatti che ti ho passato hanno dato i loro frutti. Un bacione da Roma. Valentina
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