martedì 31 agosto 2010

Mercì pour chanter




I bambini di strada di Ruengheri ti accolgono gonfiando preservativi e strappando l'elastico dalle mutande Unicef per fabbricare fionde che disarmeranno fionde rivali.
Ma sotto ai banani del Rwanda, si sa, l'erba non cresce .
E nella stagione secca una polvere perenne tinge di una trasparenza rossastra le colline di Kigali, e i biciclettari che trasportano passeggeri su improvvisati portapacchi tossiscono polvere e si asciugano il sudore con fazzoletti da lord inglesi. I vecchi ingobbiti da una lunga serie di ricordi ingombranti intanto scrutano il cielo immobile oltre alle spalle dei poliziotti, che sono i più alti di tutti.
Un giorno di fine agosto, però, arriva finalmente la pioggia. La gente esce di casa a prendersene un po' per salutarla, ognuno a modo suo, senza appariscenze- tutti con quella riservatezza che li distingue dal resto del continente.
La lunga siccità anche quest'anno è finita. I canali d'irrigazione finalmente disegnano sorrisi nella terra intorno alle piantagioni di tè (muschio, il tè sembra muschio!) che costeggiano la strada verso il confine con l'Uganda.
E la mattina del giorno dopo, tutti si salutano con un'umore diverso. Non c'è bisogno di chiedersi le novità ( il saluto tradizionale: amakuro?nimesa! Novità?buone!) perchè l'indomani la buona notizia è la stessa per tutti. E' arrivata la pioggia, siamo tutti più vecchi di un anno. Persino la natura. Che si risveglia, puntuale, nell'arco di una notte.
Il giorno dopo la prima pioggia della stagione,questo giorno di euforia collettiva, sonnecchio sull'autobus fra Kigali e Byumba, non ancora del tutto sicura di dove mi trovo. E' allora che succede- come sempre, in qualche modo succede- l'Africa mi accoglie.
La donna sul sedile davanti al mio, la testa appoggiata al finestrino, si mette a cantare una ninna nanna infinita, con una voce che copre il frastuono dell'autobus e i clacson degli altri viandanti. Canta per almeno un'ora di fila, e quasi tutti fermano le loro parole per ascoltarla, o almeno per rispettare chi l'ascolta. O forse sono solo grati che una voce così bella prenda, senza chiedere niente in cambio, il posto delle loro. E mentre cala la sera e sulle colline intorno alla strada si accendono i fuochi dei contadini, io mi sento in mezzo agli indiani d'America prima che fossero spazzati via-addirittura mi sembra di vederli che cantano questa stessa canzone tra fumi e tende. Saranno gli occhi chiusi. Sarà questa orgogliosa malinconia africana che pervade tutto, anche le storture che non si giustificano, anche le sconfitte plateali. Sarà questa ninna nanna e la sua vaga saggezza che cullerebbe qualsiasi essere umano del mondo.
Mercì pour chanter, mormoro, quando il viaggio finisce e riapriamo gli occhi.