lunedì 25 ottobre 2010

Istant-Blue



Ersin e Selen, ventinove anni entrambi, vorrebbero andare in vacanza ad Amsterdam per festeggiare il loro terzo anno insieme, ma il visto viene puntualmente loro negato per le ragioni più disparate. “Non importa che io qui abbia un lavoro ben pagato, mi considerano un potenziale immigrato clandestino”. Ne discutono in un caffè di Istiklal Caddesi, l'arteria pulsante della parte europea e moderna di Istanbul. Se non fosse per l'argomento della conversazione- il problema dei visti per spostarsi in Europa- sembrerebbe davvero di essere in un piacevole bar di Parigi o Barcellona.
Con loro c'è Meltem, 28 anni di cui l'ultimo trascorso a Londra per perfezionare l'inglese, laureata in disegno grafico. “L'ultimo anno della mia vita è stato il primo in cui ho iniziato a sentirmi vecchia” dice. Quanti sono 28 anni a Istanbul, se hai alle spalle una convivenza fallita e ti ritrovi a dover cercare un lavoro da zero?
La loro generazione è la prima che ha cominciato davvero a vivere all'europea. La libertà con cui vivono relazione e sessualità ne è la misura. Per ora Meltem dorme sul divano del fratello, modellista grafico, in un appartamento alle spalle della piazza di Taksim. Anche lui convive da anni e non ha nulla da ridire sulla vita da single della sorella e delle sue relazioni prima del matrimonio. Certo aiuta il fatto che i loro genitori siano liberali di sinistra, lontani dal moralismo islamico ma anche dalla nostalgia per Ataturk, il padre della Turchia moderna. Non è a causa dei suoi genitori che Meltem ha finito per sentirsi un pesce fuori d'acqua a casa propria.
“Così come la Turchia deve trovare una propria strada, che non sia nè la deriva islamista nè la copia carbone dell'occidente, così noi giovani turchi dobbiamo trovare una strada tra il nuovo conservatorismo che si sta diffondendo e l'individualismo sregolato che vediamo nei nostri coetanei europei”.
Parlare della Turchia non è certo parlare di Istanbul, sorta di città-stato che conta in sé tanti strati di storia e di geografia da essere difficilmente collocabile nello spazio e nel tempo. La cui unica scansione collettiva è quella che divide i momenti della giornata grazie al canto dei muezzin dai minareti delle moschee più belle del mondo. Al tramonto, ora della penultima preghiera, i pescatori del ponte di Galata raccolgono la loro attrezzatura per tornare a casa, osservati dagli stormi di cicogne che in questa stagione migrano attraversando il Bosforo. Allora le piazze di Eminonu e Karakoy, sulle due sponde del Corno d'Oro, si affollano delle migliaia di pendolari che aspettano sulle banchine il traghetto su cui sorseggieranno un elma çay, il tè alla mela, mentre rientrano a casa. “Una grande città può farti sentire invisibile e sola anche se ci sei cresciuta dentro, anche se è tua” dice Meltem. “E' quello che succede quando tutti i tuoi coetanei lavorano e non hanno più tempo per incontrarti”, anche perchè l'orario settimanale lavorativo in genere è di 44 ore. “Le tue migliori amiche hanno avuto figli e non riuscite più a vedervi da sole”. Come succede ovunque, con l'aggravante che qui quello delle ragazze che si trasformano in donne felicemente single è un fenomeno piuttosto recente.
Dopo un anno a Londra, una giovane turca si sente una straniera anche in una città che forse in fatto di cosmopolitismo è seconda solo alla capitale britannica. Meltem ci è andata anche per trovare un amico di vecchia data, che ci si è trasferito per vivere in santa pace la propria omosessualità.
Ecco un altra misura di se e quanto Istanbul oggi più che mai rappresenti una cerniera tra Europa e islam. Forse l'outing è più complicato che in nord europa, ma qui si tiene un gay pride ogni anno e dal resto del paese, oltre che da diversi paesi islamici, gay e lesbiche vengono qui a trovare un po' di respiro e, talvolta, trasformarsi in degli attivisti. Del resto, anche se “contraria alla morale”e perciò multabile, l'omossessualità qui non è perseguibile per legge. Hilmi, 25 anni, occhialuta aria da imbranato, è venuto dall'Anatolia: viveva in un paesino in cui dichiarare la propria sessualità lo avrebbe condannato allo stigma a vita. Leggendo nei fondi di caffè turco qualcuno saggiamente l'ha convinto a partire alla volta di E Polis, La Città.
Ma la storia nella storia della sessualità a Istanbul è quella di Demet Demir, cinquant'anni di cui la prima metà da uomo e il resto da donna. Sopracciglia folte, sguardo severo che si addolcisce alla prima battuta, Demet ha smesso di prostituirsi cinque anni fa e medita di tornare a vivere con l'anziana madre che, dopo aver compiuto un pellegrinaggio alla Mecca per ripristinare il senno- e il sesso- del figlio, s'è rassegnata. “Ero una militante di sinistra già negli anni '70, ma per socialisti e comunisti di tutto il mondo all'epoca l'omosessualità era bandita. Figuriamoci in Turchia”.
Entra nel partito Verde Radicale ma nell'88, poco dopo il colpo di Stato dei militari, viene arrestata e rimane in carcere quasi un anno. Si può immaginare cosa significasse essere un transessuale in un carcere turco durante la dittatura militare. “Un eterosessuale non sarebbe sopravvissuto alle torture fisiche e psicologiche che ho superato io”. Uscita dal carcere più agguerrita che mai, negli anni '90 Demet diviene un simbolo della liberazione sessuale quanto mai all'avanguardia per Istanbul, per la Turchia e per tutto il mondo islamico. Nel 1996 è l'unica a resistere stoicamente agli sgomberi forzati della polizia di Ulker Street, la via della prostituzione nel cuore di Beyoglu, in occasione della conferenza Onu Habita III: “Sono rimasta prigioniera in casa per settimane. Mi ci sono barricata con acqua e viveri, da sola. Sono stati i giorni più difficili della mia lotta”. Nella sua vita di prostituta e militante, comunista e transessuale, Demet viene arrestata più di trecento volte, molte delle quali per poche ore, sufficienti ai poliziotti per abusare di lei. “Di notte, al buio, nessuno è veramente musulmano. E la Turchia stenterebbe a credere ai nomi di molti miei clienti abituali”.
Ogni guerra contro i mulini a vento ha anche le sue battaglie vinte: la sua resistenza nella casa di Ulker Street si trasforma in un caso planetario e molti partecipanti alla conferenza ONU vengono a darle sostegno finché la polizia, su ordine del governo, non è costretta a desistere. Il Partito Libertà e Solidarietà allora le propone di candidarsi come consigliere municipale: è, innanzitutto, una storica affermazione all'interno della sinistra turca. Non ottenne il seggio, ma la campagna elettorale e un momento di enorme visibilità per tutto il movimento, e sullo slancio Demet crea la prima Commissione interna al partito sulle libertà sessuali: “In quel periodo ci azzardammo a fare il primo gay pride. In trenta persone. A quello di giugno di quest'anno eravamo seimila”.
La questione dei diritti umani degli omosessuali svela un altro paradosso turco: è stata proprio il mix tra occidentalizzazione e islam a far sorgere le più grosse forme di discriminazione. Sotto l'impero ottomano era largamente tollerata. Oggi la comunità e i movimenti LGBTT sono i più convinti sostenitori dell'entrata della Turchia in Europa, ma, raccolti come comunità nella parte europea, sono molto lontani non solo dal resto del paese profondo, ma anche da quella parte della città- immensa- che non rientra nelle cartoline.
“La parte europea della città ormai è un luogo troppo votato al turismo. Comoda e ricca, ma immune ai cambiamenti. La vera Istanbul, vita notturna compresa, si è spostata a Kadikoy, nella parte asiatica”. A dirlo è Nalan, nata in Bulgaria trenta anni fa e trasferitasi qui con la famiglia nel 1989, all'agognata apertura delle frontiere. “Più che la Turchia...in Europa vorrei entrarci io”. Adora vivere a Istanbul, dove fa la ricercatrice di scienza ambientale, ma rimpiange l'assenza di moralismo della società bulgara. “A scandire la vita della gente, qui, sono le leggi non scritte”. Poche settimane fa una ragazza in minigonna è stata aggredita da una folla di giovani inferociti a Taksim, la piazza nel cuore della Istanbul europea, presunta roccaforte della libertà di costume. Un'altra legge non scritta, secondo Nalan, è il fatto che siano gli uomini a fare e disfare regole che le donne dovrebbero accettare passivamente, anche quando sono manager aziendali.
Lei fa parte di quella sparuta minoranza di ragazze che legge i giornali, si informa. “Temo una deriva islamica del governo Erdogan, anche se non credo che sia dietro l'angolo come qualcuno paventa. Sinceramente credo che questa classe dirigente abbia in mente più che altro di fare i soldi”.
Del resto islamizzare la Turchia non è facile come si potrebbe pensare di un paese in cui il 99% degli abitanti si dichiara musulmano. In tutte le scuole e le università pubbliche le ragazze che portano il velo sono costrette a toglierselo prima di entrare a lezione. Nalan non riesce a credere che in molte scuole italiane ci sia ancora il crocifisso nelle aule: l'ennesima dimostrazione che infondo l'Europa che pretende tante garanzie sui diritti umani alla Turchia, da lei ha anche qualcosa da imparare.