martedì 8 novembre 2011

C ´ e´,ancora oggi, a L´avana

Nonostante tutto c'e', ancora oggi, l'Avana.
E' ancora li', qui, con tutta la sua randagia bellezza e la sua miriade di personaggi in cerca d'autore;con i suoi muri scrostati che parlano e ricordano scene erotiche consumate a discapito dell'intonaco; del suo odore puzza e profumo di benzina creata ad arte da alchimisti senza la gloria che avrebbero meritato.
Col suo rumore perenne di motori ingolfati e antichi, con le sue macchine americane anni trenta quaranta cinquanta alla faccia dei pochi gatti havaneros e delle loro molteplici vite. Con la sua frutta a buon mercato, il suo sesso a pagamento, la sua allegria musicale troppo spesso mascherata da superficialita' da grattare via con uno sguardo disarmato, che disarmi.
L'avana col suo lungomare piu' bello del mondo, dove nei giorni di vento i bambini sostituiscono i pescatori sul muretto che separa le donne dalle sirene, a giocare con le onde che ci si infrangono contro per poi innalzarsi verso il cielo, fatte spumosi fuochi d'artificio.
C'e' ancora l'avana, e c'e' ancora la sua testarda rivoluzione, che avrebbe potuto essere meglio; che avrebbe potuto anche essere molto peggio. C'e'nell'aria dell'Avana una tristezza, quella che tante persone debbano essere prigioniere di un sistema giusto. Ma c'e' anche, e soprattutto, la tristezza che la garanzia vitale del minimo garantito per tutti abbia coltivato una serpeggiante avidita' che, in misura diversa, ammorba un popolo intero, elevata a sinistro marchio di fabbrica (un simbolo del dollaro cucito sul retro delle orbite, a filtrare ogni sguardo). Un peccato, una lezione che forse dice qualcosa sull'essere umano di qualsiasi latitudine. E non e' qualcosa di buono.
Eppure ci sono, ancora oggi, le perle. Quelle che ho raccolto in qualche settimana di vita nel Centro Havana, il cuore piu' vero e manifesto della citta', e come tutti i cuori: crudele, dolce, infame, meraviglioso. Folle di una follia che a volte luccica di rassicurante magia, ma che altre va fatta scorrere senza guardarla, perche' ci sono storie e territori che non solo non si possono capire; si possono a malapena ascoltare.
Ad esempio c´e´, ancora oggi, a l´avana...Fara.
Fara che e´diventata una leggenda del quartiere San Leopoldo, vortice centralissimo a tre isolati dal malecon. Leggenda,dicevamo, da quando nel 1996 e´volata dal quarto piano del carcere, quello dove venivano rinchiusi omosessuali e travestiti, e gli infermieri che l´hanno raccolta dopo una visita sommaria l´hanno portata direttamente all obitorio. Ed e´li´che dopo qualche ora Fara si sveglio', si mise seduta e, pudica, si torno' ad avvolgere con il lenzuolo che le copriva le imprevista nudita´. Ed il custode si prese un tale spavento che non ebbe nulla da ridire che Fara uscisse sulle sue gambe, e coperta dal lenzuolo uscisse a respirare la notte della sua Avana, e camminasse come un fantasma per le sue strade deserte. E la leggenda vuole anche che, dopo tanto deambulare stordito e claudicante, Fara decidesse infine di andare a casa, dove ci si preparava mestamente ad accogliere il corpo e a vegliarlo poiche´la notizia del trapasso aveva fatto da aperitivo alla cena, ed entrando esclamasse ´´non gettate le corone di fiori che arriveranno domattina, le vendero´e mi ci comprero´vestiti da signora. Nemmeno da morta avrei taciuto il mio essere donna, nemmeno con le labbra cucite come si cuciono ai morti´´. E da allora Fara e´assai rispettata nel quartiere e nessuno le nega una patata ripiena di carne tritata o un bicchierino di rum, poiche´non e´bene inimicarsi che si e´mostrato impermeabile al richiamo dell ´aldila´, e tuttora si prende gioco della morta sfoggiando beffarde cicatrice a forma di sorriso.
E la prima volta che l'ho incontrata camminava scalza per la calle San Lazaro, e per prima cosa ho pensato che anch'io, se non fosse per quella sorta di magnete che ho sui talloni e che attira i vetri rotti, camminerei cosi'per le strade e per i tetti de la avana: silenziosa come chi vuole sentire senza essere sentito, vigile e veloce come un gatto.
E nonostante tutto c'e' ancora, a l'Avana...la pioggia.
La pioggia che quando cade coglie tutti di sorpresa, inonda le strade, sgocciola sui letti imbarcati del centro Avana. E la gente, abituata si' alle tempesta ma non curiosamente alla possibilita´di bagnarsi, corre a ripararsi sotto la prima veranda, e fra perfetti estranei, in attesa di una tregua del cielo, si parla del piu' e del meno, di boxe, di pettegolezzi, di come aggirare la penultima legge. E appena il cielo riprende fiato prima di tornare a starnutire ci si saluta per sempre, come se invece che sotto a una qualsiasi veranda si fosse stati bloccati con altri estranei in un ascensore sospeso fra due strati del tempo, quello in cui ci si bagnava anche la testa e quello in cui invece ci si bagnano solo i piedi.
C´'e' ancora oggi, a l'avana, Magalita.
Magalita disturbata nel suo sonnelino pomeridiano dal nuovo marito, che vagamente arcigno le dice: ''senti, c'e´una giovane italiana alla porta che sostiene di essere stata qui nove anni fa e chiede di te e del tuo ex marito'', Magalita che spalanca gli occhi ed esclama: ''Serena Corsi!'', e si precipita a raccontarsi e ad ascoltare le peripezie della ragazzina hippy che all'epoca dei fatti rievocati si guardava intorno disorientata da cosi' tanti negri alla fermata dell'autobus.
C'e' ancora, a l'avana, Yoel, che di questi nove anni ne ha passati otto in galera, e lo dice scrollando le spalle e scuotendo la testa come se volesse scusarsi della brutta figura: eppure e' ancora lui, con la sua irrequietezza cronica e la sua generosita' sconfinata da bandolero stanco, il suo viso smunto da uomo senza sonno e la sua ingenuita´malinconica, che lo lascia spaesato a stupirsi che tutti siano cosi' cambiati e cosi' cresciuti mentre lui non poteva fare altro che rimanere immobile ad aspettare.
C'è' Gabriel, con cui all'epoca mi sbaciucchiavo sotto gli alberi immensi del Vedado, che e' diventato un sociologo calvo e che racconta episodi bellissimi sull'amore tra i suoi genitori, di quegli amori che ne capita uno su un milione.
c'e' Jesus, con la sua cicatrice dalla bocca all'orecchio e il suo passato da pirata urbano, animale e figlio sputato del centro avana, che a 13 anni perse la verginita´in un cinema mentre sullo schermo julio iglesias cantava idiozie e fuori si distribuivano secchi di latte casa per casa; a ventitre' anni gli riusci' la difficile impresa di ingravidare due ragazze duverse nello stesso mese e da allora ha vissuto di conseguenza, saltimabanco sulla sottile fune della legalita' cubana. Oggi ha 40 anni, e' un ex bandito che non vuole piu' saperne di droghe e di combattimenti tra cani,e anche se e' sempre l'ultimo a lasciare le feste )o forse proprio per questo) si sente molto solo e della vita trscorsa porta con se´una ferma convinzione (il cuore si graffia molte volte, ma sanguina una sola) e un sogno (cadere di faccia, almeno una volta nella vita, in un mucchio di neve fresca). Intanto si prepara a interpretare se' stesso in un film di un regista russo a cui ha raccontato le cose piu' incredibili che gli sono successe; e non sono poche.
Non ci sono, a l'Avana, Ernesto e Gilenys, fuggiti in Europa e respirare piu' liberta e piu' miseria, piu' denaro liquido e piu' barbarie.
Chissa' che sensazione dara' a loro, mantenere una promessa e tornare un giorno, dopo tanto tempo, a l'Avana.
(continua)

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