giovedì 3 marzo 2011

La Regina della Pioggia

Eccovi la storia della Regina della Pioggia,raccontata dalla sottoscritta e interpretata da Carla Vitantonio su Radio Kairòs. Musiche di Valentina del Greco.

http://lucelucilla.podomatic.com/entry/2011-03-02T14_27_41-08_00


La Regina della Pioggia



Tutto questo Helena me lo raccontò mentre Joan guidava per le strade del Limpopo sudafricano, lei faceva da navigatore con la cartina in mano e io mi contorcevo sul sedile posteriore preda di dolori mestruali terrificanti. Eravamo partiti all'alba da Makhado, l'ultima città prima del confine con lo Zimbabwe, dove eravamo andati per scrivere dell’esodo degli zimbabweani in fuga dall’epidemia di colera.

Questa Makhado tra noi l’avevamo ribattezzata Makondo, come quella di Cent’Anni di Solitudine, perché il realismo magico si era fatto beffe, come al solito, della nostra ratio giornalistica. Vorrei darvene giusto un assaggio: l’ultima sera a Makhado ero andata alla stazione di polizia per denunciare il furto della mia macchina fotografica, ma alla fine ci avevo rinunciato perché il poliziotto che scriveva il verbale aveva prima cominciato a insistere per farmi conoscere un suo certo amico, poi aveva dribblato le mie resistenze spiegando: “E’ un amico speciale...è invisibile”. E mentre io guadagnavo l’uscita un po’ inquietata, aveva infine aggiunto: “Guarda che è Gesù Cristo!”

Io, Helena e Joan dormivamo nell’unico bed and breakfast della città, di quelli con una piccola piscina che si risveglia al mattino piena di foglie galleggianti, in cui sguazzavano giovani bianchi di buona famiglia con l’apparecchio per i denti.

Al tramonto, puntualmente, dal bed & breakfast andava via l’elettricità e ci si faceva luce con le candele, e noi tre dovevamo vagare per Makondo elemosinando prese elettriche in qualche bar per ricaricare computer e macchine fotografiche, finendo in una giostra di situazioni assurde a catena. Quando tornavamo al bed & breakfast ed entravamo in camera facendoci luce con lo schermo dei cellulari, avevamo la sensazione che i black out non fossero del tutto accidentali: i riccastri bianchi vagavano con le candele in mano da una stanza all’altra, e regnava un silenzio inquietante. Il mio episodio all’ufficio di polizia ci convinse definitivamente a levare le tende.

La tappa successiva distava, da quanto ci avevano detto i makondesi, più o meno due ore di auto ma noi, tra un bivio perso e l'altro, ce ne stavamo mettendo il doppio.

Eravamo diretti a un luogo che non compare sulle cartine, alla caccia di una storia di quelle che ti riempono la testa per settimane ancora prima di poter guardare negli occhi uno dei personaggi che la compongono.

Era, è una storia triste quella che ci attraeva. Una storia che non voleva saperne di essere sepolta sotto quell'abbondanza di alberi di mango, banana e papaya che nascondevano alla vista le case di fango secco intonacato, che costeggiavano la strada principale di Modjadji.

Parcheggiammo la Volkswagen e ci avvicinammo a un’anziana che riposava seduta sotto a un mango, con l'attitudine indecifrabile, priva di qualsiasi sorpresa, di chi diresti che era lì ad aspettarti. Guardava da lontano, da ben prima dei suoi occhi, da dietro lo schermo della cataratta; era vestita in abiti tradizionali e batteva le mani due volte prima di stringere la mano a degli estranei come noi, ma farle domande in inglese era inutile. Parlava solo sotho, una delle undici lingue ufficiali del Sudafrica. Ce ne stemmo lì a sorriderle con le mani in tasca, impacciati come è sacrosanto che un bianco si senta in Africa, finché dal silenzio della casa uscì timidamente la grassottella nipote, in abbigliamento stridentemente grunge, che venne a tradurre in inglese una domanda per noi, La Domanda che sua nonna aspettava di porre a degli stranieri da chissà quanto tempo: “Vuole sapere se, da dove venite voi… la pioggia è pioggia”.




Questa è la storia dell’ultima Regina della Pioggia, nata e morta a Modjadji, nel Limpopo sudafricano.

L’ultimo pezzo dell'unica strada che conduce Modjadi, cuore e capitale del popolo dei Balobedu, attraversa una terra verdissima, baciata dalla fortuna- vale a dire, in un clima secco come quello del Limpopo, dalla pioggia. E' anche così' che si capisce di essere finalmente arrivati a destinazione, oltre che per la strada asfaltata realizzata su ordine di Nelson Mandela, che nel 2003 era atterrato nel vicino aeroporto di Polokwane per assistere all’incoronazione dell’ultima Regina della Pioggia.

Qualcun altro aveva guidato centinaia di chilometri per non perdersi l’evento, ma ai più, milioni e milioni di sudafricani, bastò accendere la televisione. Grazie alle telecamere piovute nell’autunno di Modjadji, tutti poterono vedere quella ragazza di venticinque anni, coi capelli corti e l’aria sbarazzina, che fino a quel momento rispondeva al nome di Makobo Modjadji, diventare la rain queen, Regina della Pioggia, massima autorità del popolo dei Balobedu.

I Balobedu, sudditi della Regina, sono quasi mezzo milione. Vivono a Modjadj, la città che prende il nome dalla dinastia reale, e in tutta la vallata circostante. Al potere tramandato di madre in figlia, quello di invocare la pioggia, si raccomandano da tempo incalcolabile per avere la garanzia di un raccolto abbondante; e in una regione secca come il Limpopo, una vallata verde come quella che circonda Modjadj ha davvero un che di prodigioso.

La memoria dei più anziani non basta a fissare un ricordo, ancorchè tramandato, dell’origine della dinastia dei Modjadji. Tutto è troppo lontano: generazioni, secoli indietro, trame di leggende che si mescolano a tracce di realtà inoppugnabile. Un punto d’inizio qualche antropologo l'ha fissato intorno al 1500, quando Mambo, figlio di Monotapa, sovrano dello Zimbabwe, ingravidò la sorella Dguzini. Il re Monotapa avrebbe voluto bruciar vivo il colpevole, ma Dugvanizi non rivelò mai che si trattava del fratello. Per ringraziarla di aver salvato la vita al suo unico figlio maschio la regina madre rubò al marito il potere di chiamare la pioggia, lo trasmise alla figlia e le ordinò di fuggire a sud per dare origine a un nuovo popolo. Dguzini scelse una conca fra le montagne del Limpopo, nord dell’odierno Sudafrica, per partorire il frutto dell’incesto e dar vita al popolo del Balobedu.

Alla propria morte, Dguzini passò la corona al primo figlio maschio, e questi a sua volta al primogenito e così via per circa 200 anni, finchè, intorno al 1800, re Magodo si innamorò dell’unica figlia femmina e nominò futura rain queen la bambina che ebbero insieme. La nuova linea di successione di madre in figlia non significò mai che la regina, malgrado la sua autorità tradizionale su tutti i Balobedu, potesse scegliere l’uomo accoppiandosi col quale avrebbe rinnovato la stirpe: per mantenere puro il sangue, la regina poteva concepire solo con un altro membro della famiglia reale.

Così avrebbe dovuto fare anche Makobo, ma lei, l’ultima rain queen, prima del Sudafrica post-Apartheid, classe 1978, aveva deciso di infischiarsene delle leggi tradizionali. Racconta la gente di Modjajdi che Makobo amava vestirsi da uomo e non tenere mai i capelli più lunghi di due dita; che adorava andare a divertirsi fino alle prime ore del mattino e che prendeva parte alle proteste popolari per il diritto alla salute e alla casa. Nemmeno dopo l'incoronazione accettò di tenere la bocca cucita, le gambe chiuse, la fronte aggrottata come sarebbe stato adeguato al suo status.

Si innamorò di un attivista politico,un uomo che non era nemmeno un Balobedu: David Mohale. Lo invitò a vivere con lei nel palazzo reale dei Modjadji, trasgredendo la regola che impediva a qualunque uomo di trascorrere una notte intera con la regina. E, per l’orrore dei suoi fratelli e cugini, concepì con lui, anziché con un altro membro della famiglia reale, la futura rain queen: la piccola Masalanabo, che venne alla luce alla fine del 2004.

Ma appena sette mesi dopo la nascita della bambina, le telecamere che avevano ripreso l’incoronazione di Makobo tornarono a Modjadji per il suo funerale. Makobo era stata ricoverata tre giorni prima in una piccola clinica per una presunta meningite che risultò fatale nel giro di ventiquattr’ore.

Un finale da copione per un corpo indebolito: per questo è una morte piuttosto comune in zone devastate dall’Aids come il Limpopo. L’ipotesi che Makobo sia morta di Aids è dunque quella diffusa ufficialmente, e alla domanda “come è morta la Regina della Pioggia?” rivolta agli abitanti di Modjadji, questi rispondono, mestamente e invariabilmente: di malattia.

Eppure David Mohale, fidanzato di Makobo e padre di sua figlia, non ci crede. E dice che non dovremmo crederci neppure noi. Nega persino che Makobo sia mai stata malata, e accusa i fratelli di averla avvelenata a due scopi: quello di liberarsi di una regina poco osservante dei costumi tradizionali e, soprattutto, di fare ritorno a una linea di successione maschile. Poco dopo la morte di Makobo, dopo aver dimostrato che né lui né la bambina erano sieropositivi, Mohale è sparito nel nulla. Ogni tanto un giornalista riesce a intervistarlo per farsi ripetere la sua versione dei fatti e le sue accuse alla famiglia Modjadji; ma la bambina è nascosta e in salvo.

Se l’idea di una regina assassinata dai suoi famigliari per risolvere una disputa di potere rievoca storie d’altri tempi, è pur vero che il fratello di Makobo, John Modjadji, è riuscito in seguito alla morte della sorella a farsi affidare la reggenza del potere reale. E' con lui che io, Helena e Joan avremmo dovuto parlare, ma all'ora e al giorno stabiliti il reggente non si fece trovare a Modjadji, lasciandoci nelle mani della vecchia sotto al mango, che ci fregò stabilendo subito che era lei, quel giorno, quella che faceva le domande difficili.

Ed è probabile che negli anni John diventi abbastanza temuto e rispettato da far dimenticare l’esistenza, da qualche parte, della legittima, per ora minuscola, erede al trono.

La versione della storia che invece racconta di una giovane regina che si lascia consumare dall’Aids forse non è altrettanto romanzante, ma dice molto del Sudafrica moderno. Decidete voi cosa volete credere, ma sappiate che se Makobo era malata, è probabile che non lo sapesse nemmeno; che avesse scelto di ignorare rischi e conseguenze, o addirittura che credesse di scongiurare il contagio evitando l'uso del preservativo, com'è opinione diffusa nelle zone rurali del paese. Infine, se invece era malata e lo sapeva, era comunque impensabile che proprio lei, regina della pioggia da poco incoronata, provasse a combatterla con le medicine dei bianchi.




Di questo parlammo rimettendoci alla guida, io e miei due compagni d'avventure sudafricane, sulla strada di ritorno verso la grigia Johannesburg. Finché si fece buio e dopo un po' rimanemmo tutti e tre zitti, incantati dalla solita e rassicurante linea bianca illuminata dai fari, ciascuno incapace di smettere di npensare a una ragazza nera e sudata coi capelli corti che balla senza ritegno, che grida alla guida di una manifestazione, che guarda un po' stupita la sua bambina appena nata, che impreca sbattendo una porta; che nasconde la sua corona sotto al letto. Che si sveglia nel cuore della notte e sente piovere il mondo intero sulle finestre del palazzo reale, e si rannicchia intimorita contro il suo uomo perché ha paura dei tuoni. Anche se anche quella pioggia l’ha invocata lei.

Guidavo io, e i dolori mestruali erano spariti. Ma non c'erano misteri in proposito. Era bastato un antidolorifico di Helena che, da brava figlia di medico, porta sempre con sé una farmacia intera.

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