sabato 4 giugno 2011

LA MAREA DI SAO LUIS

Per ascoltare "La Marea di Sao Luis" andato in onda su Radio Kairos con la voce di Carla Vitantonio, copiate questo link.

http://lucelucilla.podomatic.com/entry/2011-05-31T08_22_42-07_00


Lei non aveva mai visto nessuno viaggiare con tutti quei libri. E pensare che di viaggiatori ne aveva incontrati ormai di tutti i tipi: di quelli che viaggiano così tanto che si portano dietro l'aurea inquietante di non avere più niente da imparare. Di quelli che hanno viaggiato così poco che in realtà pensano solo alla fine del viaggio, all’umore di quando torneranno. Di quelli che hanno viaggiato abbastanza e si perdono ore e ore a sfiorare cartine e, se li guardi, non capisci cosa vedono: il fatto è che più tempo si impiega ad attraversare un posto, più tempo si può passare a guardarlo, tatuato su una cartina come dentro di sè.
A meno che quel posto sia il proprio.
Fra i libri di Elizeo non c'erano cartine geografiche. E quando passava accanto a quella gigante del Brasile, appesa nel salotto della pensione, i suoi occhi non ci si fermavano mai. Perchè il Brasile era il suo posto, e lui evitava accuratamente di sfiorarlo con le mani e mangiarlo con gli occhi, come facevano gli stranieri.
Se ne stava spesso appoggiato a una finestra di quell’ostello nel cuore del cuore del Reviver, il centro storico di una città sconosciuta ai più, una bolla di insondabile magia nella parte di nordest brasiliano che sconfina, finalmente, in Amazzonia. Sao Luis do Maranhao.
A Sao Luis, invece di un lungomare, ci sono una manciata di gradini che scendono nell'acqua. Sono solo tre quelli che si vedono quando la marea è alta; non ne basta invece una decina per arrivare a lambire il fango che si crea quando l'oceano si ritira e lascia sguarnita la baia. Da quei gradini, l'alta marea dà un senso di potenza, talvolta di euforia. La bassa marea invece svuota e impoverisce, toglie l’aria, sarebbe capace di spazzare via qualunque speranza residua in un pensiero solitario.
Sensazioni così distanti possono essere sentite dallo stesso spettatore nell'arco di poche ore. Questo, la vicinanza con l'equatore e l'influenza di una luna a portata di mano, rendono Sao Luis una risacca di energia da cui scappare o da cui lasciarsi portare, costi quel che costi.  
La ragazza italiana era incuriosita dal suo stare alla finestra a quell'ora un po' anonima che nelle città brasiliane precede il via vai che precede la cena che precede di poco la telenovela delle nove. O forse era solo confusa dalla marea che cambiava continuamente, e le mani di quell'uomo le sapevano di solidità. Forse era questo: la montagna di libri che aveva intravisto nella stanza di lui le aveva dato la speranza di parlare di libri con qualcuno per una notte intera, per prendere una boccata di normalità dall'apnea delle stranezze di Sao Luis. Perchè le stranezze di Sao Luis non sono cosa da lasciare incolumi.
In pochi mesi era già stata ospite di un carpentiere con una paralisi facciale che costruiva case senza porte, mentre un poeta calvo e sempre ubriaco la coglieva agli angoli di strade sempre diverse offrendole bicchieri d'acqua o di cachaça, come se fosse la stessa cosa, manciate di sue coetanee si prostituivano a vecchi irlandesi innamorandosene perdutamente e maledendo le loro mogli, e cose strane le succedevano persino con gli oggetti, un libro le era piovuto dal cielo sul selciato della strada dove camminava. Dicevamo: forse la ragazza italiana aveva solo bisogno di passare una notte intera a parlare di letteratura per chiudere fuori dalla porta tutti quei personaggi in cerca d'autore, alcuni dei quali, se non bastasse, sembrava avessero il brutto vizio di leggerle il pensiero (o sarà che i personaggi lo fanno sempre, per testare le resistenze di possibili autori?).
Fu lei a fare il primo passo, una volta che uscì dalla sua stanza per andare a mangiare uno spiedino dalla vecchia sul molo, quella che, avvolta in un turbante d’unto e di fumo di braciere, sapeva di strega alla farofa. Elizeo era appoggiato al davanzale del salotto e guardava la strada pedonale sotto di lui, come se aspettasse di veder comparire qualcuno. Comparve lei, ma alle sue spalle. Lui fu sollevato e grato alla sua intraprendenza.
Dopo i due passarono ore stesi nel letto di lui. Senza sfiorarsi. Entrambi avevano solo voglia di stare un po' in compagnia. Sdraiati vicini, leggevano un libro ciascuno come una coppia sposata da tempo, ma si conoscevano da meno di cinquanta ore. Si erano detti quasi tutto. Lui aveva pianto, lei era riuscita a trattenersi. Ci sono incontri in cui, decisamente, tocca all'altro piangere.
Dalla brezza che entrava dalla finestra riconoscevano la fase della marea nella baia di San Luis Do Maranhao: quando era sufficiente a muovere le tende sporche, e a drizzare un filo di pelle d'oca sui corpi vestiti al minimo, allora la marea stava crescendo. Quando era l'aria spessa della stanza a cercare di uscire dalla finestra, prosciugandoli, la marea si abbassava, lasciando nel canale di Sao Marcos un pantano di pesci morti e di gabbiani amanti di quella routine.
Lei l'aveva trovato subito bellissimo, ma nel modo contaminato in cui si trova bello qualcuno perchè ci ricorda qualcun'altro. In realtà, non erano belli nè Elizeo ne il qualcun'altro. Ma lei, in quei giorni, aveva voglia di casa.
Le sue mani, le mani di Elizeo. Forti e veloci a intrecciare collane. A soppesare pietre preziose. A legarsi i capelli riccioli in un batter d’occhio. A lavarsi il corpo piccolo e asciutto. Lui invece non l'aveva trovata bella, ma i guizzi del suo sguardo l'avevano incuriosito. E poi aveva, per la prima volta dopo anni e anni, bisogno di conforto. Di un'amica che non sapesse nulla di lui, eppure lo aiutasse a scalare una montagna senza appigli. Oppure che gli dicesse, una volta per tutte, mi sembra che tu non ne abbia il coraggio, Elizeo: torna indietro.
La prima ora di parole era stata un flusso inarrestabile. Vento in poppa, la marea cresceva e avanzava sui gradini del molo. Libri e filosofia. Luoghi del mondo e lingue. Storie e personaggi. Durante la seconda ora cominciarono a trovare i primi ostacoli, disincontri di pensiero, certezze dell'uno che l'altro aveva raccolto in un altro segmento di vita e poi rabbiosamente scartato, e viceversa. Alla fine della terza ora si erano capiti così bene che provavano una vaga, reciproca antipatia. E ancora di più avevano bisogno di essere ascoltati l'uno dall'altra. Sulla strada del ritorno alla pensione lei si fermò sul marciapiede e confessò di non aver risposto a una lettera molto importante. E lui, senza smettere di camminare, le ricordò che il silenzio è l'unica risposta esatta.
Quando entrarono in camera di lui, lei rimase di nuovo accecata da tutti quei libri. Aveva attraversato mezza America Latina con uno zaino pieno di libri sulle spalle, quasi tutti classici. Perchè porti con te tutti questi libri? Per farmi coraggio, rispose lui. I libri mi ricordano che la mia è solo una storia tra le tante.

La sua storia. Era partito per l'Avana da San Paolo dieci anni prima, a ventotto appena compiuti, figlio della prima borghesia brasiliana. Ci doveva rimanere almeno due anni per un prestigioso dottorato in filosofia e, come unica appendice a un futuro che si annunciava glorioso, si lasciava dietro una fidanzata storica che peraltro fantasticava di lasciare dopo qualche mese di vita cubana. Dopo tre settimane dal suo arrivo a l'Avana, però lei lo chiamò per dirgli che era incinta. Elizeo non ebbe dubbi, le disse che non ne voleva sapere. Scese in strada e camminò per la città, che per una volta decise di ignorarlo. Tanto in qualche modo doveva finire, si disse. Decise di bere, per una volta non assillato da jineteras che speravano di barattare una notte di sesso da copione col suo portafogli pieno. Quella sera, stranamente, il mondo rimaneva alla larga. La mattina seguente si svegliò perfettamente lucido e senza il minimo mal di testa. Quella sera tornò a ubriacarsi, ma di nuovo, il giorno dopo, era più lucido che mai. Per due settimane si ubriacò ogni notte. Temeva che se fosse rimasto nella sua stanza la nostalgia lo avrebbe rapito e avrebbe telefonato alla sua fidanzata, spendendo un patrimonio e forse giocandosi il futuro. Ma l'incredibile era che per quanto bevesse, il giorno dopo si svegliava sempre senza un filo di risacca, sempre più lucido e brillante nelle sue ricerche. L'ultima di quelle mattine si risvegliò da un incubo: la sua ex fidanzata era morta dissanguata dopo l'aborto clandestino. Angosciato, chiamò a casa di lei. La linea ronzava come avrebbe dovuto fare la sua testa. La madre gli rispose secca: “Mia figlia è a L'Avana ” e riagganciò.
Elizeo rimase a letto. Non si mosse finchè lei non bussò alla porta. Preferivo aspettare la tua chiamata da qui, gli disse. Lui pensò, indistintamente, che qualcosa negli ultimi tempi doveva averla resa più bella. Cercò di sdraiarla sul letto, lei sussurrò: “ho abortito”. Lui sentiva la voce di lei storpiata, piena di eco. Iniziava la risacca, una risacca accumulata in giorni e settimane, che ora saliva con ritmo inesorabile di marea. Alla fine, lei si rivestì e, guardandolo con attenzione, disse: ho già scopato con un altro. Non mi fai più niente. Buona vita.

Passò tre mesi in un manicomio cubano. I suoi genitori mandarono sua sorella a prenderlo, ma lui rifiutò di venire via con lei. Dal manicomio fu trasferito a una clinica psichiatrica in cui una psicologa mulatta si prese a cuore il brasiliano dallo strano male fino a diventare, col tempo, la persona più importante della sua vita. Per i dieci anni a venire fu il suo unico punto di riferimento al mondo.
Ce ne mise tre, di quegli anni, a raccogliere il coraggio sufficiente a separarsi dalle sue calibrate parole di consolazione. Ripartì alla volta del Messico: in una spiaggia fuori l'Avana aveva conosciuto un colombiano che si occupava del commercio di pietre preziose al confine con gli Stati Uniti. Nella scelta e nella lavorazione delle pietre Elizeo si rivelò un autentico talento e, dopo qualche anno da socio del colombiano, cominciò a lavorare da solo: Stati Uniti, Messico, Panama, Colombia, poi di nuovo Stati Uniti, Messico, Panama, Colombia...
Colombia. Un giorno in un caffè di Bogotà, dove un cliente gli aveva dato buca, si mise a chiacchierare con due ragazze che l'avevano notato per “le mani belle come quelle di mio nonno Josè” – così aveva detto la più mora delle due.
Le ragazze condividevano un appartamento nel quartiere bohemienne della città. Dopo due giorni di racconti sulle sue peripezie da commerciante di pietre preziose- non chiesero nulla del suo passato più passato, meglio così, altrimenti avrebbe mentito come faceva sempre- Elizeo si era trasferito da loro. Aveva un po' di denaro da parte e voleva goderselo così, in quella città che l’aveva sempre attratto, coi suoi pericoli e le sue nefandezze, e il suo romanticismo da rubare a ogni costo.
I tre crearono un limbo di serenità che lui non sospettava potesse aspettarlo da qualche parte. Era almeno dieci anni più vecchio di loro, ma da tempo non si sentiva così a suo agio con qualcuno. Qualcuno a cui insegnare e di cui prendersi cura. Forse non gli era mai successo.
Leggevano ad alta voce e parlavano fino all'alba. Cucinavano insieme. Alle ragazze capitavano uomini idioti dei quali lui ridendo diceva, all'una o all'altra, è tonto, ma tu sei stronza. Si sentiva perfino abbastanza bene da chiamare sua madre circa una volta al mese, e non un paio di volte l'anno come si era abituato a fare -ne erano passati otto da quando era partito per l'Avana e non era mai più tornato; ma quando per telefono lei gli chiedeva di spedirgli almeno una foto, lui diceva di sì e poi non lo faceva, e continuava a interromperla quando lei provava a dargli notizie sulle persone che aveva lasciato a San Paolo.
Stava così bene che un giorno scrisse alla sua psicologa cubana per dirle che non sarebbe tornato a trovarla quella primavera, come aveva sempre fatto. Lei non gli chiese perchè, o dov'era, e con chi, rispose solo quello che ormai gli rispondeva sempre: è ora che tu torni a casa, Elizeo.

Due anni più tardi, appoggiato sul davanzale di una pensione nel cuore di Sao Luis Do Maranhao, Elizeo era ancora a pezzi per la fine della storia d'amore con una delle due colombiane, quella delle mani e del nonno, che l'aveva trascinato in una spirale di gelosia e possesso da cui potevano uscire solo mettendo fra l'uno e l'altra qualcosa di grande e spaventoso come l'Amazzonia.
“Eppure io non sono sempre stato come mi vedi” disse lui alla ragazza italiana durante la quinta ora di quella notte, quella in cui pianse come un bambino, quella in cui l’aria era uscita dalla stanza per spingere tutta l’acqua della baia in mare aperto. “Io ho conosciuto il mondo, e sono stato felice”.
Se non altro tutto quel dolore lo aveva portato a decidere finalmente di tornare a casa. Per la strada più lunga: via terra, attraverso la foresta. Almeno fino a Sao Luis. Le raccontò che era stato un viaggio bellissimo, nuovo in ogni giorno, guastato solo dai momenti in cui commetteva l'errore di entrare in un internet cafè per vedere se lei gli aveva scritto, e cosa gli aveva scritto, di chi si era innamorata, e quanto stava bene senza di lui. Era arrivato a Sao Luis in un'alba di lunedì, con il centro vuoto che echeggiava i suoi passi, e la Pousada Internacional dall'altra parte della prima strada. E un biglietto aereo da lì a San Paolo fissato per cinque giorni dopo, che gli pulsava nella tasca.
L'ultima tappa prima di tornare a casa. Si era buttato sul letto della stanza in fondo al corridoio e poi, visto che il sonno non arrivava, si era messo a estrarre tutti i suoi libri dallo zaino, uno per uno, religiosamente. Era un rito che aveva sempre funzionato. Ma ora eccolo, quel pensiero che non lasciava la sua testa, martellante, spaventoso: lo stavano aspettando. Tutti quelli che avevano conosciuto il primo Elizeo a San Paolo dovevano essere informati del suo imminente ritorno, dopo dieci anni di pellegrinaggi e nuove vite. Immaginava la notizia diffondersi veloce come quella di una morte. Manco solo io, si disse. Lo sanno tutti tranne me, che sto tornando a casa.

Fammi una foto, disse alla ragazza italiana l'ultima ora di quella notte prima della partenza, all'improvviso. Fammi una foto con la tua macchina digitale, che la spediamo a mia sorella.
Perchè, se domani la rivedi? Chiese lei.
No, non domani. Nè lei nè nessun altro. Quando arrivo all’aeroporto di San Paolo, mi rimbarco direttamente per l'Avana. Ho deciso.
Sarà terribile, disse lei d'istinto, ti sembrerà di essere di nuovo sul volo di dieci anni fa, quando partivi per il dottorato a l’Avana.
Lui tacque.
Bisogna tornare a casa almeno per dire addio, aggiunse ancora la ragazza italiana, brancolando nel buio, pestando uova, tacendo infine.
Intanto l’acqua, di ritorno dal suo viaggio nell’oceano, era tornata fedele a riempire la baia, e così l’aria salata a lambire le tende e ad accarezzare le lenzuola, conciliando sonno e sogni.
Lei si risvegliò nella stanza vuota. Elizeo si era preso zaino e vestiti, ma aveva lasciato lì tutti i suoi libri.
Ovunque avesse deciso di andare, c'era andato a mani vuote.

Nessun commento:

Posta un commento