sabato 31 ottobre 2009

johannesburg, donne e cartapesta


L'ultimo capitolo delle mie incursioni africane è sempre Johannesburg (o, come direbbe chi ne sa, JoanElensburg).
Si chiude a johannesburg perchè da qui i voli costano poco. E perchè da qui costano poco? Perchè questa è la capitale di un continente intero. Piaccia o no, tutto passa da questa metropoli grigiofumo che ti fa sentire a New York per le sue infinite possibilità sfavillanti ma anche per i suoi infiniti bronx, per i suoi edifici anni 30 con le scale antincendio e per quella specie di sax di sottofondo mentre la cammini circospetta- circospetta tu e circospetta lei.
Curioso - o ovvio?- che la capitale dell'Africa sia forse la sua metropoli meno africana, cuore del paese che il meno africano lo è sicuramente, anche se nella sua storia conserva marcato a fuoco un destino in cui, in maniera forse indelebile, sono passati quasi tutti i paesi dell'Africa australe.
Il mail & guardian, un ottimo settimanale sudafricano, ha appena dedicato un numero al tema del razzismo che ancora permea la società. Riassunto fattomi da Clara che vive qui da un anno e mezzo: i neri fanno la parte dei buoni, i bianchi fanno la parte dei vaghi. E quando possono si evitano con eguale e simmetrico piacere.
La Commissione per la Verità e la Riconciliazione presieduta dal grande Desmond Tutu ha incarnato sulla terra una capacità di perdono che, per chi conosce anche solo vagamente le atrocità dell'apartheid, ha del divino.
Ma alla catarsi collettiva non hanno corrisposto le milioni di individuali, altrettanto necessarie. Tanto più che la stragrande maggioranza dei neri continua a vivere confinata in baraccopoli senza accesso ai servizi che le erano preclusi per legge durante l'apartheid. Molto spesso questo dà luogo ad angoscianti guerre tra poveri, com'è successo nel maggio 2008 durante gli attacchi xenofobici contro mozambicani e zimbabweani bruciati vivi.

Eppur, si muove. Oggi ho visitato una cooperativa di donne,la Twanano Paper Making, in una delle aree più povere di Ivory Park, una storica township di Johannesburg. La cooperativa si occupa di costruire oggetti col materiale di recupero fornito da un'ombrello più ampio di cooperative di raccolta e riciclaggio di spazzatura.
Gloria, quella che aveva l'aria di tirare un po' le fila, aveva uno sguardo da dura e il sorriso stanco. Giorni fa Gloria ha partecipato, invitata da Clara, a una conferenza sulle cooperative in cui ha raccontato i nove anni di vita della sua. Prima di andarsene si è presa tutte le caramelle del tavolo dei relatori (...me la immagino, con quello sguardo duro) e ha tenuto a mo' di trofeo il cavaliere col suo nome da relatrice. Virginia, invece, è una di quei donnoni con fare materno e risata dietro l'angolo. E' stata lei a spiegarci quasi tutto il processo infilando le manone nei secchi di riciclato, di fibra e di tinta per fare la cartapesta. Con loro si era fermata ad aspettarci una terza socia, che non parlava una parola di inglese ma sorrideva orgogliosa. Nella cooperativa regnava l'odore buono dei libri vecchi ma non polverosi, e fuori, al sole, la township continuava la sua vita producendo spazzatura e accatastandola ai bordi delle strade, pronta per essere riciclata e fornire reddito alle volenterose con le mani in pasta. Un pezzo di paese riproducibile mille volte. Volendo.
E se il Sudafrica si desse una seconda possibilità per rendere umano un sogno che ha avuto del divino?

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