mercoledì 3 giugno 2009

mozambico, la questione della terra


(testo e foto s.corsi)
Una donna mozambicana va da un curandero a chiedergli che fine hanno fatto i sette milioni di meticais che lo Stato aveva promesso al suo distretto. “Ma che ne sanno gli spiriti? Vada a chiederlo all’amministratore!” esclama, irritato, lo sciamano.
Questo sketch teatrale, che ha fatto il giro del paese, (1) riflette uno degli aspetti più interessanti dell’attualità mozambicana: il lento processo per la formazione di una cittadinanza critica, non più disposta ad accettare come un’inesorabile volontà della natura la gestione della cosa pubblica da parte di una classe dirigente che si riproduce dal 1975.
I mozambicani escono recentemente da una lunghissima storia di autoritarismo : al lungo dominio coloniale portoghese, che aveva strutturato la società in un ordine gerarchia quasi feudale, è seguito dall’indipendenza nel 1975 il governo della Frelimo (2), che tentò di stabilire un’amministrazione e un governo rurale uniformi su tutto il territorio (3), al prezzo di un accentramento amministrativo di fatto e dal sistema politico del partito unico.
D’altra parte uno stato appena nato non avrebbe avuto speranze di vivere se non avesse trovato il modo, ancorchè coircitivo e spesso in chiave anti-tribale, di espandere velocemente il suo potere nelle campagne, soprattutto laddove, dal 1976, operava la guerriglia anti-socialista della Renamo.
Tantomeno era pensabile che ai mozambicani venisse in mente durante la guerra civile, probabilmente la più cruenta dell’epoca post-independenza africana, che sfilacciò le reti famigliari e sociali tradizionali provocando quattro milioni di sfollati interni e un milioni e mezzo di rifugiati in Sudafrica, Tanzania e Zimbabwe.
Le prime elezioni multipartitiche nel 1994, seguite all’accordo di pace firmato a Roma nel 1992, non hanno significato di fatto l’abbandono da parte del partito-stato Frelimo delle chiavi del potere politico ed economico del paese, nonché del controllo dei principali mezzi d’informazione- anche se è vero che i toni paternalisti e propagandistici della stampa si sono diluiti col tempo e i pochi giornali critici nei confronti el governo pubblicano liberamente senza subire persecuzione alcuna.
Sarà anche che la Frelimo non corre seriamente il pericolo di perdere le elezioni dell’anno prossimo : l’opposizione non offre alcuna alternativa programmatica ed è lacerata da un’antica lotta intestina. Inoltre, la Frelimo gode del tacito appoggio internazionale grazie alla continuità che rappresenta e per la fedeltà a programmi economici liberisti suggeriti dal finire degli anni ’80 da FMI e Banca Mondiale . La guerra civile, infatti, non significò una sospensione della democrazia solo perché allontanò le persone dalle opportunità del fare politica, ma anche in un senso strettamente istituzionale, perché se la Frelimo abbandonò sul finire degli anni ‘80l’impostazione marxista-leninista e abbraccò le prescrizioni delle istituzioni finanziarie internazionali, fu in buona parte per facilitare la fine della guerra prima (4), e poi per avere accesso ai crediti internazionali necessari per ricostruire un paese devastato.




Le chiavi della terra
Fu così che il Mozambico si trasformò nella “donors doll”, la “bambola dei donatori”: nel 2000 fu,secondo solo alla Sierra Leone, il paese più dipendente del mondo. (5)
Per riflettere su chi decide cosa in Mozambico, è bene sapere che tuttora il 50% del suo bilancio consiste negli introiti dei prestiti e dei finanziamenti della cooperazioni internazionale.
La contropartita consiste in un programma di privatizzazioni che in pochi anni ha lasciato lo Stato orfano di tutte le imprese e le risorse che aveva amministrato nel periodo socialista(6). Tutte , tranne una: la terra. La costituzione dell’indipendenza aveva stabilito che la terra sarebbe appartenuta solo allo Stato fino alla fine dei tempi, ma non chiariva come e chi poteva usufruirne per coltivarla temporaneamente. Il ritorno dall’esodo della guerra prima, la virata liberista e l’alleanza delle elite nazionali con quelle estere poi , crearono una grande pressione sul legislatore affinchè questi si dotasse di un quadro giuridico più completo sui diritti agrari.
La legge che ne scaturì Lei Terra ’97 , che confermò la proprietà pubblica della terra e il diritto prioritario a coltivarla da parte delle comunità tradizioanli, fu da un lato il colpo di coda “socialista” dell’ala sinistra della Frelimo, dall’altra il battesimo di fuoco della UNAC, la Uniao Nacional de Camponeses, che si fece largo come unica forza endogena, ed autenticamente contadina, nella galassia di ONG che organizzarono la campagna. “La nostra Lei de Terra è, tuttora, un’avanguardia cui si ispirano centinaia di movimenti contadini” spiega Ismael Ousseman, fondatore della UNAC. “Il problema è che le forze del capitale e dell’investimento estero sono più forti di una legge africana…e oggi la lotta si è spostata sull’implementazione della legge”. La Lei de Terra infatti stabilisce tre modi di acquisizione del diritto d’uso: permanente, per comunità che la abitassero tradizionalmente e per cittadini mozambicani che l’abbiano lavorata per almeno dieci anni; di cinquanta anni per imprese straniere, previo processo di consultazione con le comunità locali che vivessero nella zona. “Quest’ultima possibilità sta costituendo, di fatto, la contro riforma agraria nel mio paese”continua Ousseman. Perchè assai spesso questo processo di partecipazione comunitaria si trasforma in un banale atto di corruzione dell’autorità locale, così come ad altre autorità locali è richiesta la capacità (leggi, volontà) di far rispettare la legge e salvaguardare la terra dall svendita. Qui entra in gioco un altro criterio indispensabile al mozambico per ottenere i crediti internazionali,cioè l’altra l’altra grande questione di governance mozambicana: la decentralizzazione del potere.

I miraggi della ‘good governance’
Il governo del Mozambico cominciò a discutere di decentralizzaizone già nel 1994, ma la Legge sulle Municipalità del ‘97 (contemporanea, guardacaso, alla Lei de Terra) tradì lo spirito originario della proposta, stabilendo che tutti i distretti del paese eccetto 33 centri urbani (7) sarebbe stata sì governata da autorità locali…ma nominate dal potere centrale di Maputo,secondo uno schema assai simile a quello collaudato in epoca coloniale e post-coloniale. Il “local empowerment”rimase così solo nella retorica dei programmi di sviluppo con cui l’abile elite mozambicana otteneva finanziamenti :il risultato perciò non fu affatto decentralizzazione dei processi decisionali, ma piuttosto una sorta di cooptazione delle autorità locali e tradizionali, che per di più sono tradizionali sì, ma in senso culturale e quasi mai atavico: gran parte delle comunità che arrogano il diritto d’uso a un certo pezzo di terra in Mozambico si sono formate dopo, e non prima, dell’esodo dovuto alla guerra civile. Spesso, non è che lo stato abbia incontrato e riconosciuto una autorità, ma bensì “creato” una comunità intorno a un’autorità che ha scelto per convenienza di riconoscere(8).
Di fatto, a livello locale si ripercuotono a cascata le indicazioni politiche di Maputo.E in un contesto politico internazionale (a cui come abbiamo visto il governo mozambicano ha deciso per convenienza di non sottrarsi) che spinge decisamente verso la privatizzazione della terra e la sua disponibilità per monoculture intensive, questo siginifica un’enorme minaccia sui milioni di famiglie e piccole cooperative mozambicane. Nonostante queste coinvolgano nel complesso due terzi della popolazione, appena il 4% del bilancio statale è destinato all’agricoltura, che senza finanziamenti statali è destinata a rimanere di mera sussistenza. Diventa così gioco facile per l’elite economica mozambicana, (formata in gran misura da ex politici della frelimo passati a condurre le imprese privatizzate) denunciare la scarsa efficienza della piccola agricoltura e reclamare la privatizzazione della terra per favorire l’ingresso di investimenti esteri.
Lo dice senza termini Joao Pereira , sociologo e presidente del Masc : “La pressione per la privatizzazione de facto è aumentata in questi anni, e gli investimenti per i biocombustibili sono destinati a portare la questione al suo punto di ebollizione”. Guardacaso, di biocombustibili hanno parlato a metà ottobre il presidente mozambicane Guebuza e il suo omologo brasiliano Lula, giunto in visita ufficiale a Maputo.

Rivoluzione verde e biocombustibili ,il cocktail mozambicano

Il 19 ottobre, inaugurando la Quinta Conferenza Internazionale della Via Campesina (v. riquadro), il presidente Guebuza ha mantenuto un difficile equilibro fra la necessità di compiacere la platea assicurando lunga vita all’agricoltura su piccola scala, e al tempo di difendere la politica agraria del governo orientata alla privatizzazione di fatto e alla concessione di grandi estensioni a imprese private, spesso straniere. “Sostenere le famiglie e promuovere la rivoluzione verde in Mozambico, al fine dell’esportazione dei nostri prodotti”(9). Rivoluzione Verde: un programma di finanziamento all’agricoltura finalizzato all’aumento della produzione per l’esportazione. La prossima regina delle esportazioni agricole è già stata incoronata : si tratta della Jetropha, una pianta utile alla produzione di biocombustibili . Da metà 2007 il governo va convincendo i contadini a convertire le proprie coltivazioni in jatropha, come primo passo della tanto propagandata rivoluzione verde (10).Ma questa significherà alcun sostegno alla piccola agricoltura, o è l’ennesima imposizione resa necessaria dalle contingenze del mercato mondiale, e venduta come manna per il popolo mozambicano?
“Forse non è la stessa Rivoluzione Verde che negli anni ’60 rovinò India e Messico; formalmente ,il governo si oppone all’invasione di agrotossici. Ma noi siamo molto vigili, perché è ancora dall’estero che ci viene chiesto di implementare questa politica” dice Diamantino dell’UNAC.
Non esistendo un’opposizione istituzionale contraria a questa politica, starà alla giovane società civile mozambicana a difendere la terra : come seggerisce lo sketch teatrale della signora dallo sciamano, i mozambicani dovranno saper chiedere conto ai propri amministratori del destino delle proprie risorse, naturali e finanziarie .
A partire dalle prime, già comincia a diffondersi la buona abitudine di denunciare pubblicamente le responsabilità politiche : nel gennaio scorso a Manhiça, un distretto cerealico dove sono sorti conflitti fra cooperative agricole e MANAGRA( un’impresa produttrice di canna da zucchero), i contadini hanno rifiutato per la prima volta le bandiere del partito di governo nella propria manifestazione. “La responsabile provinciale dell’agricoltura è uscita poche settimane fa in televisione a dire che bisogna togliere la terra ai contadini che la coltivano improduttivamente. Ma cosa ha fatto il governo per aiutare i contadini a coltivare in maniera efficiente?” sbotta Funzano, presidente di una piccola associazione agricola di Chokwue , nel sud del paese. “Ci sentiamo minacciati e presi in trappola da queste dichiarazioni. Ma noi abbiamo solo la terra: niente da perdere”.
(pubblicato su Le Monde Diplomatique, ed Cono Sud, dicembre 2008)

(1)Campagna prodotta dal MASC(Mecanismo de Apoio à Sociedade Civil)
(2)Frente de Libertaçao do Mozambique, il gruppo armato di ispirazione socialista che gli esuli mozambicani organizzarono dalla Tanzania governata da Julius Nyerere e che, in seguito all’indipendenza, assunse il potere.
(3)C.Tornimbeni, Sviluppo decentrato in Mozambico. Dalle politiche coloniali alla good governance, afriche e Orienti, Bologna, anno 2001.
(4)La guerriglia della Renamo era appoggiata e in buona parte finanziata dalle potenze occidentali avverse al il regime socialista di Maputo. Uno dei suoi finanziatori è un professore sudafricano, Thomasausen, e lo stesso Sudafrica , come ammesso recentemente dall’ex ministro della difesa Pik Botha, offriva alla Renamo logistica e mezzi.
(5)South African Migration Project, On Borders:Perspectives on International Migration in South africa, Cape town, 2000
(6)C.Kramer, Privatisation and Adjustment in Mozambique, Journal of South African Studies, 2001
(7) il 65% della popolazione mozambicana vive in aree rurali,v. op. cit
(9) Davide Caliandro, Universita’ di Bologna, luglio 2008.
(10) Progetti-pilota di coltivazioni intensive di jatropha sono già attivi nelle provincie centro-settentrionali di Inhambane, Manica, Zambezia, e Nampula, mentre a sud sembra si stia diffondendo più rapidamente la canna da zucchero.

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