mercoledì 3 giugno 2009

sudafrica, la regina della pioggia


Quando la Regina della Pioggia sarà un uomo
(teso s.corsi foto e.olcina)
Ci vogliono circa cinque ore di guida per arrivare a Modjadji da Johannesburg. L’ultimo pezzo di strada attraversa una terra verdissima, baciata dalla fortuna- vale a dire, dalla pioggia. Alberi di mango, banana e papaya nascondono alla vista le case, qualcuna in muratura, la maggior parte di fango secco intonacato, e i rispettivi cortili. In uno di questi, seduta sotto le abbonadnati fronde di un mango, riposa un'anziana . E’ vestita in abiti tradizionali e batte le mani due volte prima di stringere la mano a degli estranei e cominciare una conversazione. Peccato parli solo sotho, una delle undici lingue ufficiali del Sudafrica. Ma da dentro la casa esce finalmente la giovane nipote che viene a tradurre in inglese una domanda che la nonna aspettava di porre a degli stranieri da chissà quanto tempo: “Vuole sapere se, da dove venite voi… la pioggia è pioggia”.

Tutto il Sudafrica assistette all’incoronazione dell’ultima Regina della Pioggia, nell’aprile 2003. Persino Nelson Mandela volle presenziarvi, dopo essere atterrato nel vicino aeroporto di Polokwane, capoluogo del Limpopo. Qualcun altro guidò centinaia di chilometri per non perdersi l’evento. Ma ai più bastò accendere la televisione: grazie alle telecamere piovute nell’autunno di Modjadji, tutti poterono vedere quella ragazza di venticinque anni coi capelli corti e l’aria sbarazzina, e che fino a quel momento rispondeva al nome di Makobo Modjadji, diventare la prima rain queen del nuovo millennio nonché del Sudafrica post-apartheid.
Oggi i suoi sudditi, il popolo dei balobedu -circa quattrocentomila anime- scrutano il cielo con una certa inquietudine: per la prima volta, non c’è una regina della pioggia a governare sulla salute delle piantagioni. Makobo è morta all’improvviso, a ventisette anni, in una notte di giugno di tre anni fa. Un giallo, nelle cui righe si dipanano molti tormenti del Sudafrica odierno, circonda la sua morte.
Makobo, l’ultima rain queen, classe 1978, aveva deciso di infischiarsene delle leggi tradizionali. Racconta la gente di Modjajdikloof che Makobo amava vestirsi da uomo e non tenere mai i capelli più lunghi di due dita; che adorava andare a divertirsi fino alle prime ore del mattino e che prendeva parte alle proteste popolari per il diritto alla salute e alla casa.
Si innamorò di un attivista politico, un uomo che non era nemmeno un Balobedu: David Mohale. Lo invitò a vivere con lei nel palazzo reale dei Modjadji, trasgredendo la regola che impediva a qualunque uomo di trascorrere una notte intera con la regina. E , per l’orrore dei suoi fratelli e cugini, concepì con lui, anziché con un altro membro della famiflia reale, la futura rain queen: la piccola Masalanabo, che venne alla luce alla fine del 2004.
Nel giugno del 2005, le telecamere che avevano ripreso l’incoronazione di Makobo tornarono a Modjadjikloof per il suo funerale. Makobo era stata ricoverata tre giorni prima in una piccola clinica per una presunta meningite che risultò fatale nel giro di ventiquattr’ore. La meningite risulta spesso fatale in organismi con un debole sistema immunitario: per questo è una morte piuttosto comune in zone devastate dall’Aids come il Limpopo. L’ipotesi che Makobo sia morta di Aids è quella diffusa ufficialmente, e alla domanda “come è morta la Regina della Pioggia?” rivolta agli abitanti di Modjadji, questi rispondono, mestamente e invariabilmente: di malattia.
Eppure David Mohale, fidanzato di Makobo e padre di sua figlia, rifiuta questa versione. Nega persino che Makobo sia mai stata malata, e accusa i fratelli di averla avvelenata. A due scopi: quello di liberarsi di una regina poco osservante dei costumi tradizionali e, soprattutto, di fare ritorno a una linea di successione maschile. Alla morte di Makobo, dopo aver dimostrato che né lui né la bambina erano sieropositivi , sparì nel nulla. Ogni tanto un giornalista riesce a intervistarlo per farsi ripetere la sua versione dei fatti e le sue accuse alla famiglia Modjadji, mentre la bambina, pare, viene allevata da una famiglia di amici lontani da politica e riflettori.
Se l’idea di una regina assassinata dai suoi famigliari nell’ambito di una disputa per il potere rievoca storie d’altri tempi, è pur vero che di fatto il fratello di Makobo, John Modjadji, è riuscito, in seguito alla morte della sorella, a farsi affidare la reggenza del potere reale. Al contrario di Makobo, John è un rigido osservatore delle norme tradizionali ed è probabile che negli anni diventi abbastanza temuto e rispettato da far dimenticare l’esistenza , da qualche parte, della legittima erede al trono.
La versione della storia che invece racconta di una giovane regina che si lascia consumare dall’aids forse è meno adatta a un romanzo ma dice molto del Sudafrica moderno. Della sua piaga latente, di cui si parla relativamente poco considerando che il virus ha già colpito un sudafricano su dieci. Di un ritardo decennale in fatto di politiche governative sulla malattia che continua a dilagare nelle zone più povere delle città e nelle aree rurali, zigzagando fra false credenze sulla sua diffusione. Da anni ONG e associazioni per il diritto alle cure lottano per convincere i sudafricani delle aree rurali che il preservativo non contiene il virus, e che anzi indossarlo scongiura un lungo calvario, e alla lunga la morte; che gli antiretrovirali siano realmente efficaci per contenere gli effetti della malattia- cosa a lungo messa in dubbio dallo stesso ex presidente Thabo Mbeki, all'epoca preoccupato all'idea di svenare le casse pubbliche per fornire antiretrovirali a milioni di malati in un momento in cui il Sudafrica doveva affermarsi come tigre economica del continente.
Tuttora, il rapporto con l'aids nel paese è misurato dallo stigma sociale che porta con sè – impossibile quantificare il numero reale dei malati, poichè sono relativamente pochi quelli che accettano di affrontare il test- e in qualche modo dal suo farsi simbolo di una modernità desiderata e odiata allo stesso tempo: non solo per la convinzione che il virus sia stato portato in Africa dall'occidente proprio attraverso la diffusione del preservativo, ma anche per l'idea secondo cui chi accetta di assumere farmaci antiretrovirali è da emarginare dalla comunità, per averli preferiti ai metodi della medicina tradizionale. Tant'è che talvolta chi lo fa, lo fa in segreto, per poi ringraziare in pubblico il curandero della comunità e aumentare così la confusione sull'efficacia delle cure.
La dicotomia tra medicina tradizionale e occidentale dunque gioca su questo campo una partita senza sconti, generatrice di ulteriori sofferenze. Se Makobo era malata, è probabile che non lo sapesse nemmeno; che avesse scelto di ignorare il rischio e le conseguenze, o addirittura che credesse a sua volta di evitare la malattia rinunciando all'uso del preservativo. Se invece era malata, e lo sapeva, era comunque impensabile che proprio lei, regina della pioggia da poco incoronata, combattesse con le medicine dei bianchi una malattia di cui i bianchi stessi sono sospettati di essere in qualche modo artefici e portatori.



I Balobedu
Sono circa quattrocentomila i balobedu,sudditi della regina della pioggia. Vivono a Modjadjkloof, la città che prende il nome dalla dinastia reale dei Modjadji, e in tutta la vallata circostante.
Al potere tramandato di madre in figlia della dinastia reale, quello di chiamare la pioggia, i balobedu si raccomandano da tempo incalcolabile per avere la garanzia di un raccolto abbondante; e in una regione secca come il Limpopo, una vallata verde come quella che circonda Modjadjkloof ha di fatto un che di prodigioso.
Due antropologi inglesi, J e D. Kridge, intorno agli anni 50 del secolo scorso si appassionarono alla tradizione delle rain queen e tirarono le fila del mito fissando un punto d’inizio intorno al 1500, quando Mambo, figlio di Monotapa, sovrano dello Zimbabwe, ingravidò la sorella Dguzini. Quando la gravidanza di Dguzjni fu manifesta, re Monotapa avrebbe voluto bruciar vivo il colpevole, ma Dugvanizi non rivelò mai che si trattava del fratello. Per ringraziarla del suo silenzio la regina madre rubò al marito il potere di chiamare la pioggia, lo trasmise alla figlia e le ordinò di fuggire a sud per dare origine a un nuovo popolo. Dguzini scelse una conca fra le montagne del Limpopo, nel nord dell’odierno Sudafrica, per partorire il frutto dell’incesto e dar vita al popolo del Balobedu.
Alla propria morte, Dguzini trasmise la corona e il potere di chiamare la pioggia al primo figlio maschio, questi a sua volta al primogenito e così via per circa 200 anni, finchè, intorno al 1800, re Magodo si innamorò dell’unica figlia femmina e nominò futura rain queen la bambina che ebbero insieme. La nuova linea di successione matriarcale proseguì fino ai giorni nostri, ma non significò mai che la regina, malgrado la sua autorità tradizionale su tutti i Balobedu, potesse scegliere l’uomo accoppiandosi col quale avrebbe rinnovato la stirpe. Per mantenere puro il sangue, la rain queen poteva concepire solo con un altro membro della famiglia reale .(pubblicato su "IlManifesto"del 16/03/2009

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